Da molti anni, da quando era assurto alla
carica di delegato di Polizia, Geronzio Manichetta seguiva la stessa
norma, valida per tutti gli atti criminosi: se c’era un morto, ormai era
morto, inutile stare a rimestare nel torbido.
La mattina del 25 luglio 1843 era uno di quei giorni in cui il
mite Lepido, sarto del paese, anziché stare a tavola, osservava le nuvole sul lago. Era
un giorno di favonio, il vento di tempesta tipico della zona, un giorno
in cui si annunciano i naufragi. Chi avrebbe mai osato sfidare le forze
della natura per entrare in acqua mentre si preparava la bufera? Chi
erano i due giovani che Lepido vide armare la barca per raggiungere
l’altra sponda? I due che lo derisero quando li avvertì che non era la
giornata giusta per prendere il largo?
Solo uno scemo l’avrebbe fatto, pensarono tutti quando il cadavere di un
giovane, poche ore dopo, venne ripescato dall’acqua. Ma lo pensarono
solo per un attimo, perché “lo scemo” in questione era nientemeno che
Francesco Gorgia, unico figlio ed erede del più ricco e influente
mercante del paese. Come se non bastasse l’unico testimone dell’imbarco,
il sarto Lepido, aveva visto due giovani e non uno. Chi era l’altro? Si
seppe presto che il disperso, compagno di avventure del rampollo
bellanese, era un giovane altrettanto in vista, Emilio Spanzen, figlio
dell’ingegnere ferroviario Kaspar Spanzen, amico del governatore
autriaco, in visita a Bellano per la progettazione di una nuova
importantissima tratta.
Andrea Vitali, senza lasciare i luoghi cari alla sua produzione
letteraria, il Lario e i paesi che vi si specchiano, per la prima volta
risale all’epoca lontana della dominazione austriaca. La
sua ironia questa volta è più amara, è quasi un ghigno, come quello che
si può trovare a volte sul viso di un morto suicida, che pure ride,
quasi ne fosse contento.
Libroteca 42
P.zza Montello, 18 Thiene (VI)
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