Il vino della solitudine è il più
autobiografico e il più personale dei romanzi di Irene Némirovsky: la
quale, pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l'elenco delle
sue opere sul retro del quaderno di Suite francese, accanto a questo
titolo scriveva: "Di Irene Némirovsky per Irene Némirovsky". Non sarà
difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hélène, che siede a
tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre,
la stessa Irene; e nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di
moda appena arrivate da Parigi in quella noiosa cittadina dell'impero
russo - e trascura una figlia poco amata per il giovane cugino, oggetto
invece di una furente passione - quella Fanny Némirovsky che ha fatto
dell'infanzia di Irene un deserto senza amore. Hélène detesta la madre
con tutte le sue forze, al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere
serali, con quello dell'amata istitutrice, "con una vaga speranza
omicida". Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a
invecchiare, e Hélène avrà diciott'anni: accadrà a Parigi, dove la
famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la
fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Finlandia,
durante la quale l'adolescente ha avuto per la prima volta "la
consapevolezza del suo potere di donna". Allora sembrerà giunto alfine
per lei il momento della vendetta. Ma Hélène non è sua madre - e forse
sceglierà una strada diversa: quella di una solitudine "aspra e
inebriante".
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