giovedì 28 maggio 2009

Premio Opera Prima, Campiello 2009


Anche quest'anno, contemporaneamente all'elenco dei nomi dei finalisti del Premio Campiello, è stata anche eletta l'opera prima vincitrice della omonima categoria. Un premio che sembra portar bene visto il successo del vincitore dello scorso anno, Paolo Giordano, che ha poi conquistato lo Strega e il record di vendite nelle librerie.

Cesarina Vighy, L'ultima estate, Fazi
Da dove arriva la voce di Zeta? Apparentemente dal luogo più inabitabile e muto: la malattia, in quel punto estremo che toglie possibilità, respiro, futuro. Ma è solo apparenza: questa voce proviene dal nucleo più irriducibile e infuocato della vita. Che non tace, non cessa di guardare e amare. E anzi, comincia qualcosa: a scrivere. È fragile l'equilibrio che genera queste pagine. Per Zeta qualsiasi gesto ora è enorme, la fatica non solo fisica è in ogni momento fatale. E i ricordi sono uno squarcio lacerante nella memoria di una vita tenacemente irregolare: la nascita fuori dal matrimonio della "bambina più amata del mondo", l'infanzia sotto le bombe, Venezia splendida e meschina, il primo disastro sentimentale e poi, ancora, Roma becera e vitale, l'esperienza della psicanalisi, l'avventura del femminismo, il cammino della malattia. E sempre la coriacea e gentile difesa della propria individualità, l'irrisione delle tribù e delle cliniche cui ha rifiutato di appartenere. Così la storia dei suoi settant’anni scorre laterale, vissuta intensamente ma mai accettata, come non fosse mai meritevole di piena identificazione. E la famiglia ridotta all’essenziale – il grande padre, la piccola madre, il marito e la figlia – mai un rifugio riconciliante. C’era lo spettacolo del mondo da scoprire, una sfuggente libertà da inseguire, una singolare autenticità da trovare. Con una lingua nitida, a tratti feroce, mai retorica, attraversata da una vena di sarcasmo che non concede nulla alla pietas, l’autrice affronta il più evitato degli argomenti: la sofferenza. Mai, lungo queste pagine, si può dimenticare che è malata, gravemente. Però basta uno spiraglio della finestra in cucina a far entrare un platano o un merlo. C’è una gatta fedele, indulgente, comprensiva. C’è una esistenza verso cui – Zeta non lo direbbe mai e certamente si rifiuta perfino di pensarlo – si può nutrire un orgoglio felice. Segnata com’era, ora finalmente appare bella. E piena di sogni, ricordi, fantasmi, di intelligenza. Non degenera: può sfidare il peso dei rimorsi del passato e l’orrore dei sintomi di oggi, ironicamente e fieramente: “Dicono che si nasca incendiari e si muoia pompieri. A me è successo il contrario: brucerei tutto, adesso”. Lo fa in questo libro singolare: piccolo autodafé e magnifico inno alla vita che era ed è.
Cesarina Vighy, veneziana, vive a Roma da molti anni. Dedicata alla scrittura da sempre, si sarebbe accontentata di diventare un dickinsoniano “poeta postumo” fino a quando, colpita da una rara malattia neurologica, non si è decisa ad affrontare il giudizio altrui, libera ormai dall’ossessione del successo.
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